ECCE HOMO! - Il più dolce dei dolori - RACCONTO
Sguardo
Anche se non avrebbe dovuto essere lì, Mirko non aveva potuto
rinunciarci e sedeva ansioso, in attesa.
Gli aveva detto che non era assolutamente necessario, che non c'era
bisogno che aspettasse lì per tutto il tempo; ma Mirko non aveva resistito e si
era precipitato appena si era liberato. Lo avevano fatto accomodare in quella
salettina piccola e senza finestre, con un soffitto alto e scuro. Si era
accomodato su una delle sette sedie che erano sistemate lungo le pareti
spoglie. C'era odore di stoffa e colla calda, un odore di plastica bollente e
fili sintetici sfregati l'uno contro l'altro.
Mirko sedeva chinato in avanti, appoggiato alle sue ginocchia; si
tormentava le mani e respirava con ansia, gli occhi serrati e le labbra un po'
tremanti. Contro la parete al suo fianco una lampada a neon vibrava con quel suo suono fastidioso
che si univa all'eterno picchiettare del suo piede sinistro, agitato e
inarrestabile.
"Quanto manca? Oh, non ce la faccio più! Quanto mancherà? Ormai
sono ore! No beh, non sono ore, ma è comunque un sacco di tempo! Quanto
manca!!??!!"
Alla fine non resistette più e si alzò, camminando agitato
tutt'attorno alla stanzetta, curvando dopo appena un passo in un circolo
stretto. I muscoli delle spalle gli erano contratti e sentiva le ginocchia
rigide e dure come acciaio, piene di tensione e agitazione. Ora gli occhi erano
spalancati e il labbro inferiore soffriva, morso dai denti ansiosi e serrati.
"Non è possibile che manchi ancora tanto! Non è possibile che ci
voglia così tanto tempo!"
Ormai l'ansia era quasi una componente del suo corpo, come l'acqua e
il carbonio: erano giorni che viveva con questa sensazione di attesa
straziante, quasi un'angoscia che rode dentro consuma e logora e stritola e
assottiglia. Quel giorno era andato al bar come sempre ma mentre faceva il
caffè ai soliti clienti di tutte le mattine le sue mani tremavano gli era
occorso del tempo per riuscire a infilare correttamente il filtro nella
macchina. Poi si era messo a riporre le tazzine e i bicchieri e i piattini già
lavati: ne aveva fatti cadere in tutto sei. Ma non gliene importava nulla dei
rimproveri della capa, la tensione gli turava gli orecchi come un tappo.
Per tutta la mattina s'era mosso fremente e tutto era attraversato da
un'ombra cupa di preoccupazione. Poi finalmente era arrivata l'ora di pranzo e
lui aveva già ottenuto da tempo il pomeriggio e la sera libera per quel giorno,
per riuscire, anche se non era necessario, a essere lì!
E ora era lì, chiuso nella salettina ad aspettare accompagnato solo
dal ronzio di una lampada al neon, che - tra l'altro - ogni tanto perdeva la
sua luce lasciando, per qualche appena percettibile istante, la stanza al buio.
La maniglia si mosse e la porta fu aperta dalla segretaria, una
signora asciutta e secca, con un paio di grossi occhiali spessi che le
traballavano in bilico sul naso appuntito; un caschetto di capelli castani
tagliati di recente incorniciavano quel viso stanco e affaticato. Sorrideva,
gentile, come sempre, con quel suo sguardo cordiale e simpatico.
«Arriva subito!» disse rapidamente, scomparendo nuovamente dietro la
porta.
"Bene, è finito!" si rasserenò un poco Mirko raccogliendo il
suo giubbotto e le chiavi che aveva appoggiati su una delle sedie. "Già …
adesso arriva … ma come è andata?!" pensò Mirko, preso adesso da una nuova
ansia.
Passarono davvero pochi minuti, ma, in compagnia della nuova
preoccupazione, a Mirko quei pochi minuti parvero ore … "Perché ci mette
ancora così tanto?"
Finalmente la porta ricominciò a scricchiolare e allora Mirko vi si
mise davanti, come un cagnolino davanti a un buon piatto di carne che e posto
troppo in alto sul tavolo per i suoi denti.
«Ehi … - disse Anna con una voce delicata e stanca, un sorriso
semplice e innocente stampato sul volto - sei venuto anche se non ti avevo
detto di venire? Grazie» nella sua voce vibrava qualcosa di strano e personale,
qualcosa di intimo e segreto. Qualche goccia di sudore scivolava ancora sulla
fronte e lei continuava a toccarsi l'alto chignon che le rimaneva saldo sul
capo. Aveva gli occhi stanchi e una faccia sbattuta.
«Beh!?! - fremeva Mirko mentre parlava con quella sua voce che voleva fingersi più dolce e tranquilla possibile - come è andata?»
«Beh!?! - fremeva Mirko mentre parlava con quella sua voce che voleva fingersi più dolce e tranquilla possibile - come è andata?»
Lei sollevò il suo viso e cercò gli occhi di Mirko, quegli occhi che
le erano tanto cari, quegli occhi color nocciola che aveva visto tante volte in
tanti pomeriggi passati sul balcone di casa sua, che aveva baciato tante
mattine quando lei si svegliava per prima e lui era ancora addormentato. Li
trovò ansiosi e agitati, si muovevano ora qui ora là e la studiavano tutta,
come se potesse capire dal suo aspetto l'esito dell'audizione.
«Ti ringrazio di essermi stato vicino in questi mesi in cui mi sono
preparata per oggi, di avermi sopportata quando ero di pessimo umore, di avermi
consolata e supportata quando mi lamentavo perché non pensavo che non sarei nemmeno
arrivata a presentarmi … grazie … - disse commossa, fingendosi forte e
sostenuta, con una voce che pretendeva di ingannare con quel suo tono fermo e
deciso, ma che tremava debolmente, attraversata dall'emozione - e ti ringrazio soprattutto
perché … mi hanno presa!»
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