mercoledì 18 febbraio 2015

SGUARDO

ECCE HOMO! - Il più dolce dei dolori - RACCONTO
Sguardo

Anche se non avrebbe dovuto essere lì, Mirko non aveva potuto rinunciarci  e sedeva ansioso, in attesa.
Gli aveva detto che non era assolutamente necessario, che non c'era bisogno che aspettasse lì per tutto il tempo; ma Mirko non aveva resistito e si era precipitato appena si era liberato. Lo avevano fatto accomodare in quella salettina piccola e senza finestre, con un soffitto alto e scuro. Si era accomodato su una delle sette sedie che erano sistemate lungo le pareti spoglie. C'era odore di stoffa e colla calda, un odore di plastica bollente e fili sintetici sfregati l'uno contro l'altro.
Mirko sedeva chinato in avanti, appoggiato alle sue ginocchia; si tormentava le mani e respirava con ansia, gli occhi serrati e le labbra un po' tremanti. Contro la parete al suo fianco una lampada  a neon vibrava con quel suo suono fastidioso che si univa all'eterno picchiettare del suo piede sinistro, agitato e inarrestabile.
"Quanto manca? Oh, non ce la faccio più! Quanto mancherà? Ormai sono ore! No beh, non sono ore, ma è comunque un sacco di tempo! Quanto manca!!??!!"
Alla fine non resistette più e si alzò, camminando agitato tutt'attorno alla stanzetta, curvando dopo appena un passo in un circolo stretto. I muscoli delle spalle gli erano contratti e sentiva le ginocchia rigide e dure come acciaio, piene di tensione e agitazione. Ora gli occhi erano spalancati e il labbro inferiore soffriva, morso dai denti ansiosi e serrati.
"Non è possibile che manchi ancora tanto! Non è possibile che ci voglia così tanto tempo!"
Ormai l'ansia era quasi una componente del suo corpo, come l'acqua e il carbonio: erano giorni che viveva con questa sensazione di attesa straziante, quasi un'angoscia che rode dentro consuma e logora e stritola e assottiglia. Quel giorno era andato al bar come sempre ma mentre faceva il caffè ai soliti clienti di tutte le mattine le sue mani tremavano gli era occorso del tempo per riuscire a infilare correttamente il filtro nella macchina. Poi si era messo a riporre le tazzine e i bicchieri e i piattini già lavati: ne aveva fatti cadere in tutto sei. Ma non gliene importava nulla dei rimproveri della capa, la tensione gli turava gli orecchi come un tappo.
Per tutta la mattina s'era mosso fremente e tutto era attraversato da un'ombra cupa di preoccupazione. Poi finalmente era arrivata l'ora di pranzo e lui aveva già ottenuto da tempo il pomeriggio e la sera libera per quel giorno, per riuscire, anche se non era necessario, a essere lì!
E ora era lì, chiuso nella salettina ad aspettare accompagnato solo dal ronzio di una lampada al neon, che - tra l'altro - ogni tanto perdeva la sua luce lasciando, per qualche appena percettibile istante, la stanza al buio.
La maniglia si mosse e la porta fu aperta dalla segretaria, una signora asciutta e secca, con un paio di grossi occhiali spessi che le traballavano in bilico sul naso appuntito; un caschetto di capelli castani tagliati di recente incorniciavano quel viso stanco e affaticato. Sorrideva, gentile, come sempre, con quel suo sguardo cordiale e simpatico.
«Arriva subito!» disse rapidamente, scomparendo nuovamente dietro la porta.
"Bene, è finito!" si rasserenò un poco Mirko raccogliendo il suo giubbotto e le chiavi che aveva appoggiati su una delle sedie. "Già … adesso arriva … ma come è andata?!" pensò Mirko, preso adesso da una nuova ansia.
Passarono davvero pochi minuti, ma, in compagnia della nuova preoccupazione, a Mirko quei pochi minuti parvero ore … "Perché ci mette ancora così tanto?"
Finalmente la porta ricominciò a scricchiolare e allora Mirko vi si mise davanti, come un cagnolino davanti a un buon piatto di carne che e posto troppo in alto sul tavolo per i suoi denti.
«Ehi … - disse Anna con una voce delicata e stanca, un sorriso semplice e innocente stampato sul volto - sei venuto anche se non ti avevo detto di venire? Grazie» nella sua voce vibrava qualcosa di strano e personale, qualcosa di intimo e segreto. Qualche goccia di sudore scivolava ancora sulla fronte e lei continuava a toccarsi l'alto chignon che le rimaneva saldo sul capo. Aveva gli occhi stanchi e una faccia sbattuta.
«Beh!?! - fremeva Mirko mentre parlava con quella sua voce che voleva fingersi più dolce e tranquilla possibile - come è andata?»
Lei sollevò il suo viso e cercò gli occhi di Mirko, quegli occhi che le erano tanto cari, quegli occhi color nocciola che aveva visto tante volte in tanti pomeriggi passati sul balcone di casa sua, che aveva baciato tante mattine quando lei si svegliava per prima e lui era ancora addormentato. Li trovò ansiosi e agitati, si muovevano ora qui ora là e la studiavano tutta, come se potesse capire dal suo aspetto l'esito dell'audizione.

«Ti ringrazio di essermi stato vicino in questi mesi in cui mi sono preparata per oggi, di avermi sopportata quando ero di pessimo umore, di avermi consolata e supportata quando mi lamentavo perché non pensavo che non sarei nemmeno arrivata a presentarmi … grazie … - disse commossa, fingendosi forte e sostenuta, con una voce che pretendeva di ingannare con quel suo tono fermo e deciso, ma che tremava debolmente, attraversata dall'emozione - e ti ringrazio soprattutto perché … mi hanno presa!»

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