domenica 1 febbraio 2015

LUI (2)

E perché mai avrei dovuto desiderare che quel momento finisse? Fu proprio allora che scoprii un po' di pace: avrei dovuto allontanare da me quella sensazione meravigliosa? Forse avrei proprio dovuto, avrei dovuto 'mantenere le distanze' e tenermelo lontano, avrei dovuto usare il cervello e non dare ascolto alla pancia; avrei dovuto, ma non avrei potuto: se la mia mente diceva A il mio cuore rispondeva con più forza e più efficacia B.
Quando mi chiesero se sarei andato a pranzo risposi in maniera un po' evasiva, cercando di trovare il modo per non rispondere né sì né no, ma poi continuarono a chiedermelo, insisterono come fanno sempre e allora cedetti, mi arresi e confermai che ci sarei stato 'senza dubbio' … - ancora oggi non so se mi rattristo di quella conferma o se ringrazio Dio di avermela ispirata.
Arrivai contento nonostante tutto, pronto a passare una bella giornata con persone amiche, con gente socievole e piacevole, a ridere e scherzare, a sorridere e parlare del più e del meno: nel salone era già quasi tutto pronto per il pranzo, ma mancavano da sistemare i bicchieri, ancora impilati dentro la plastica. Mi fu chiesto di aiutare e, non appena mi fui liberato della giacca, mi misi a capovolgere davanti ad ogni tovagliolo un bicchiere, cosicché la polvere e lo sporco non vi entrassero.
Trascorremmo l'attesa parlando seduti ognuno al proprio posto, chi giocando con il coltello chi scorrendo le immagini sul cellulare, qualcuno scriveva a un amico, qualcuno ascoltava muto: i piccoli si intromettevano tra i grandi e pretendevano di poter parlare delle stesse cose, e noi, i 'grandi', li prendevamo amichevolmente in giro, prendendoci gioco di loro con quella sana malignità da adolescenti.
A poco a poco arrivavano tutti, ognuno prendendo il posto preferito tra quelli rimanenti: a qualcuno toccò sopportare persone che avrebbe volentieri evitato, ma non sempre è possibile scegliere seguendo solo il proprio piacere.
Oramai era ora di mangiare, dalla cucina era sempre più intenso il profumo del cibo che presto avremmo accolto molto volentieri nelle nostre pance. Ero sereno e quasi felice, con i pensieri e le angosce soffocate da mille parole e centinaia di risate, ma come sempre la mia serenità non poté avere vita troppo lunga: entrò dalla porta trascinandosi dietro i suoi amici, tutti accaldati dalla corsa appena fatta per arrivare in tempo per mangiare tutti assieme.
Erano stati tenuti loro dei posti, laggiù, dove io non li avevo notati, e proprio là si sedettero, tutti nascosti alla mia vista, tutti - ovviamente - tranne che uno di loro.
Tra le spalle di quello seduto davanti a me e la testa di quella seduta di fronte a lui lo intravedevo, nella sua felpa blu scuro, con il suo strano ciuffo biondo appena rifinito dal parrucchiere: rideva con  suoi compagni, con i suoi amici che iniziavano proprio allora ad avventarsi sui piatti riempiti.
Continuai a parlare con quelli vicino a me, continuai a sorridere e scherzare, iniziai a mangiare appena mi porsero il piatto pieno, badando di non disturbare con i miei gomiti le persone a fianco. Chiesi dell'acqua e mi venne passata - non so perché succede sempre! - una bottiglia di cola: dissi che ne volevo, che preferivo l'acqua e finalmente mi dissetai.
Finimmo tutti di mangiare il primo e ci fu quel momento che sempre c'è nei pranzi in cui c'è tanta gente: le persone si alzano e girovagano, andando da quello laggiù, ritornando verso il proprio tavolo, riallontanandosi per sedere ad un posto lasciato momentaneamente vuoto.
Decisi anche io che mi sarei sgranchito le gambe, ma proprio mentre stavo per allontanare la sedia dal tavolo sentii che qualcuno mi stava dietro le spalle: non avevo visto che stava avvicinandosi salutano tutti perché ero voltato dall'altra parte a chiedere notizie su quello che avremmo dovuto portare a scuola il giorno dopo.
Mi abbracciò da sopra, mi prese attorno al collo con le sue braccia magre, solo per un attimo, per poi darmi quel solito buffetto, quella carezza rapida con le sue mani sottili e delicate, morbide.
Si chinò e mi diede un bacio sulla guancia.
Non so quando aveva incominciato a salutarmi così, ci conoscevamo davvero da molto poco in realtà, qualche mese e nient'altro, eppure era affettuoso con me, con quell'affetto intimo e sincero, privo di finzione. Mi voltai e lo guardai dal basso, sorridente e pronto a salutarlo con uno dei miei fantastici 'Ciao!': era in piedi, eretto e fiero, nella sua felpa blu scuro, si passava una mano tra i capelli mentre l'altra la teneva poggiata alla mia spalla; salutava la persona di fronte a me, dall'altra parte del tavolo, con la sua consueta cortesia, non risparmiandosi uno dei suoi tipici commenti scherzosi - non ricordo a proposito di cosa.
Aspettai che avesse finito continuando a guardarlo dal basso: le sue labbra sottili e allegre, veloci e simpatiche mi ipnotizzavano.
Finalmente riguardò verso di me e incrociò il mio sguardo, io sorridevo e lui riprese a sorridere nell'incontrare i miei occhi.
«Ciao!» mi disse lui. Avrei voluto che quel saluto, con quello sguardo, quel sorriso, quella mano appoggiata sulla mia spalla, durasse in eterno, continuasse immutabile per l'eternità.

Mi ripresi da quella contemplazione e risposi: «Ciao!»

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