E perché mai avrei
dovuto desiderare che quel momento finisse? Fu proprio allora che scoprii un
po' di pace: avrei dovuto allontanare da me quella sensazione meravigliosa?
Forse avrei proprio dovuto, avrei dovuto 'mantenere le distanze' e tenermelo
lontano, avrei dovuto usare il cervello e non dare ascolto alla pancia; avrei
dovuto, ma non avrei potuto: se la mia mente diceva A il mio cuore rispondeva
con più forza e più efficacia B.
Quando mi chiesero se
sarei andato a pranzo risposi in maniera un po' evasiva, cercando di trovare il
modo per non rispondere né sì né no, ma poi continuarono a chiedermelo,
insisterono come fanno sempre e allora cedetti, mi arresi e confermai che ci
sarei stato 'senza dubbio' … - ancora oggi non so se mi rattristo di quella conferma
o se ringrazio Dio di avermela ispirata.
Arrivai contento
nonostante tutto, pronto a passare una bella giornata con persone amiche, con
gente socievole e piacevole, a ridere e scherzare, a sorridere e parlare del
più e del meno: nel salone era già quasi tutto pronto per il pranzo, ma
mancavano da sistemare i bicchieri, ancora impilati dentro la plastica. Mi fu
chiesto di aiutare e, non appena mi fui liberato della giacca, mi misi a
capovolgere davanti ad ogni tovagliolo un bicchiere, cosicché la polvere e lo
sporco non vi entrassero.
Trascorremmo l'attesa
parlando seduti ognuno al proprio posto, chi giocando con il coltello chi
scorrendo le immagini sul cellulare, qualcuno scriveva a un amico, qualcuno
ascoltava muto: i piccoli si intromettevano tra i grandi e pretendevano di
poter parlare delle stesse cose, e noi, i 'grandi', li prendevamo
amichevolmente in giro, prendendoci gioco di loro con quella sana malignità da
adolescenti.
A poco a poco
arrivavano tutti, ognuno prendendo il posto preferito tra quelli rimanenti: a
qualcuno toccò sopportare persone che avrebbe volentieri evitato, ma non sempre
è possibile scegliere seguendo solo il proprio piacere.
Oramai era ora di
mangiare, dalla cucina era sempre più intenso il profumo del cibo che presto
avremmo accolto molto volentieri nelle nostre pance. Ero sereno e quasi felice,
con i pensieri e le angosce soffocate da mille parole e centinaia di risate, ma
come sempre la mia serenità non poté avere vita troppo lunga: entrò dalla porta
trascinandosi dietro i suoi amici, tutti accaldati dalla corsa appena fatta per
arrivare in tempo per mangiare tutti assieme.
Erano stati tenuti
loro dei posti, laggiù, dove io non li avevo notati, e proprio là si sedettero,
tutti nascosti alla mia vista, tutti - ovviamente - tranne che uno di loro.
Tra le spalle di
quello seduto davanti a me e la testa di quella seduta di fronte a lui lo
intravedevo, nella sua felpa blu scuro, con il suo strano ciuffo biondo appena
rifinito dal parrucchiere: rideva con
suoi compagni, con i suoi amici che iniziavano proprio allora ad
avventarsi sui piatti riempiti.
Continuai a parlare
con quelli vicino a me, continuai a sorridere e scherzare, iniziai a mangiare
appena mi porsero il piatto pieno, badando di non disturbare con i miei gomiti
le persone a fianco. Chiesi dell'acqua e mi venne passata - non so perché
succede sempre! - una bottiglia di cola: dissi che ne volevo, che preferivo
l'acqua e finalmente mi dissetai.
Finimmo tutti di
mangiare il primo e ci fu quel momento che sempre c'è nei pranzi in cui c'è
tanta gente: le persone si alzano e girovagano, andando da quello laggiù,
ritornando verso il proprio tavolo, riallontanandosi per sedere ad un posto
lasciato momentaneamente vuoto.
Decisi anche io che mi
sarei sgranchito le gambe, ma proprio mentre stavo per allontanare la sedia dal
tavolo sentii che qualcuno mi stava dietro le spalle: non avevo visto che stava
avvicinandosi salutano tutti perché ero voltato dall'altra parte a chiedere
notizie su quello che avremmo dovuto portare a scuola il giorno dopo.
Mi abbracciò da sopra,
mi prese attorno al collo con le sue braccia magre, solo per un attimo, per poi
darmi quel solito buffetto, quella carezza rapida con le sue mani sottili e
delicate, morbide.
Si chinò e mi diede un
bacio sulla guancia.
Non so quando aveva
incominciato a salutarmi così, ci conoscevamo davvero da molto poco in realtà,
qualche mese e nient'altro, eppure era affettuoso con me, con quell'affetto
intimo e sincero, privo di finzione. Mi voltai e lo guardai dal basso, sorridente
e pronto a salutarlo con uno dei miei fantastici 'Ciao!': era in piedi, eretto
e fiero, nella sua felpa blu scuro, si passava una mano tra i capelli mentre
l'altra la teneva poggiata alla mia spalla; salutava la persona di fronte a me,
dall'altra parte del tavolo, con la sua consueta cortesia, non risparmiandosi
uno dei suoi tipici commenti scherzosi - non ricordo a proposito di cosa.
Aspettai che avesse
finito continuando a guardarlo dal basso: le sue labbra sottili e allegre,
veloci e simpatiche mi ipnotizzavano.
Finalmente riguardò
verso di me e incrociò il mio sguardo, io sorridevo e lui riprese a sorridere
nell'incontrare i miei occhi.
«Ciao!» mi disse lui.
Avrei voluto che quel saluto, con quello sguardo, quel sorriso, quella mano
appoggiata sulla mia spalla, durasse in eterno, continuasse immutabile per
l'eternità.
Mi ripresi da quella
contemplazione e risposi: «Ciao!»
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