La notte aveva abbracciato la grande abbazia con le
sue mani nere. Il grande campanile era scomparso da tempo nello stomaco delle
tenebre e una sola finestrella della chiesa continuava a brillare nel buio. I
monaci, pii e casti, dormivano ognuno nella propria celletta fredda. Solo uno
dei confratelli si teneva vicino una candela, quello che doveva sorvegliare -
chissà poi perché - la portineria anche la notte. Nessuno veniva a bussare alle
loro porte di notte, c'erano almeno un paio di locande che offrivano
un'ospitalità ben più conveniente di un gelido e - diciamolo - un po' bigotto
monastero.
La città era rimasta sveglia un po' più a lungo
dell'abbazia, la gente s'era fermata sulle proprie porte per quattro
chiacchiere e la maggior parte degli uomini di bottega aveva lasciato il desco
familiare per raggiungere qualche amico e bere in compagnia.
Nella notte profonda, poi, s'erano spente anche le
liti da taverna e il vociare era diventato un bisbiglio nelle soffitte o un
isolato 'OE' per salutare la combriccola prima di tornarsene a casa. Solo il
fornaio non avrebbe spento il proprio fuoco, e, anzi, si sarebbe rimboccato le
maniche, tutto sudato per la fatica dell'impasto.
C'era un'aria felice, una serenità diffusa e
leggera che avvolgeva il tutto: dormivano i monaci e nelle stalle dormivano i
cavalli, il fabbro s'era appisolato da molto, così come il suo garzone, che, in
teoria, avrebbe dovuto vegliare il braciere. Dormivano le donne, stanche di
essere madri, mogli e padrone di casa: s'erano addormentate pensando a ciò che
non era stato fatto e a ciò che ancora doveva essere imbastito.
La notte era fresca, ormai dimentica dell'afa del
giorno, ma, tuttavia, rasserenata da qualche ventata tiepida (il mondo
restituiva all'aria il calore della giornata).
Nuccio non s'era ancora stancato di sedere sul suo
ramo preferito, su quel robusto ramo di pero che s'avvicinava così tanto al
muro di cinta dell'abbazia. Di giorno lo avrebbero cacciato, perché cosa
pensava di fare quel ragazzino?! Ma di notte … di notte quel ramo era tutto suo
e in primavera era bella addormentarsi in mezzo alle foglie. Non aveva mangiato
quel giorno, ma ormai era abituato, non sentiva nemmeno la fame: un monaco non
avrebbe resistito a lungo come lui a stomaco vuoto. A volte non mangiava per
due settimane intere e non se ne lamentava nemmeno, non c'era bisogno,
d'altronde, di grandi capricci e lagne: se non ce n'era non ce n'era e basta.
E poi a Nuccio bastava poter dormire, potersi
cullare nei suoi sogni con tutta la libertà di un bambino. Certo, di giorno
doveva impegnarsi, doveva lavorare - quando poteva - doveva affaccendarsi in
qualche modo! Ma di notte, ah, di notte entrava in un regno dove non c'era da
mangiare, non c'era da rispettare le regole di qualcun altro, non c'erano le
porte chiuse del monastero, o il bastone nodoso del macellaio; di notte c'erano
i sogni, dolcissimi.
Nuccio aveva sempre pensato che le persone più
sfortunate del mondo dovessero essere gli insonni, quei poveri tapini che di
notte vegliavano ininterrottamente, quei miserevoli che non riuscivano mai a
immergersi nel proprio mondo di sogni: che vita orribile!
Nuccio non compiangeva la sua condizione, non
sognava mai una vita "migliore", con un papà e una mamma. Sognava
posti lontani, posti felici e, quelli sì, migliori.
- Ehi! Nuccì!! - sussurrò qualcuno dal basso del
tronco, toccandogli il piede penzoloni - hei!
Psss… Nuccì!!
- Eh … - rispose Nuccio guardando giù, nella
penombra della notte, rischiarata da una timida falce di luna.
- Vieni giù! - Nuccio scese e trovò i suoi tre
amici: erano tutti orfani e poveri, come lui.
- Guarda cosa ha trovato Nenè!! - disse una voce eccitata nel gruppo. Un profumo di
crosta bruciacchiata solleticò il naso di Nuccio, senza vedere granché.
- Oè! E dove sei andato a trovare 'sta roba?
- I monacelli, per una volta, hanno fatto un po' di
carità - ridacchiò qualcuno, forse proprio Nenè, suscitando il riso dei suoi
compagni.
- Viva i monacelli - rispose Nuccio, allungando
la mano nell'oscurità: trovò le mani degli altri, già protese in avanti, e
tutti insieme urlarono, pur sempre bisbigliando: - Uno per tutti, tutti per
uno! -
Quella sera mangiarono, e fu ancora più dolce
sognare quella notte.
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