domenica 13 settembre 2015

I MOSCHETTIERI

La notte aveva abbracciato la grande abbazia con le sue mani nere. Il grande campanile era scomparso da tempo nello stomaco delle tenebre e una sola finestrella della chiesa continuava a brillare nel buio. I monaci, pii e casti, dormivano ognuno nella propria celletta fredda. Solo uno dei confratelli si teneva vicino una candela, quello che doveva sorvegliare - chissà poi perché - la portineria anche la notte. Nessuno veniva a bussare alle loro porte di notte, c'erano almeno un paio di locande che offrivano un'ospitalità ben più conveniente di un gelido e - diciamolo - un po' bigotto monastero.
La città era rimasta sveglia un po' più a lungo dell'abbazia, la gente s'era fermata sulle proprie porte per quattro chiacchiere e la maggior parte degli uomini di bottega aveva lasciato il desco familiare per raggiungere qualche amico e bere in compagnia.
Nella notte profonda, poi, s'erano spente anche le liti da taverna e il vociare era diventato un bisbiglio nelle soffitte o un isolato 'OE' per salutare la combriccola prima di tornarsene a casa. Solo il fornaio non avrebbe spento il proprio fuoco, e, anzi, si sarebbe rimboccato le maniche, tutto sudato per la fatica dell'impasto.
C'era un'aria felice, una serenità diffusa e leggera che avvolgeva il tutto: dormivano i monaci e nelle stalle dormivano i cavalli, il fabbro s'era appisolato da molto, così come il suo garzone, che, in teoria, avrebbe dovuto vegliare il braciere. Dormivano le donne, stanche di essere madri, mogli e padrone di casa: s'erano addormentate pensando a ciò che non era stato fatto e a ciò che ancora doveva essere imbastito.
La notte era fresca, ormai dimentica dell'afa del giorno, ma, tuttavia, rasserenata da qualche ventata tiepida (il mondo restituiva all'aria il calore della giornata).
Nuccio non s'era ancora stancato di sedere sul suo ramo preferito, su quel robusto ramo di pero che s'avvicinava così tanto al muro di cinta dell'abbazia. Di giorno lo avrebbero cacciato, perché cosa pensava di fare quel ragazzino?! Ma di notte … di notte quel ramo era tutto suo e in primavera era bella addormentarsi in mezzo alle foglie. Non aveva mangiato quel giorno, ma ormai era abituato, non sentiva nemmeno la fame: un monaco non avrebbe resistito a lungo come lui a stomaco vuoto. A volte non mangiava per due settimane intere e non se ne lamentava nemmeno, non c'era bisogno, d'altronde, di grandi capricci e lagne: se non ce n'era non ce n'era e basta.
E poi a Nuccio bastava poter dormire, potersi cullare nei suoi sogni con tutta la libertà di un bambino. Certo, di giorno doveva impegnarsi, doveva lavorare - quando poteva - doveva affaccendarsi in qualche modo! Ma di notte, ah, di notte entrava in un regno dove non c'era da mangiare, non c'era da rispettare le regole di qualcun altro, non c'erano le porte chiuse del monastero, o il bastone nodoso del macellaio; di notte c'erano i sogni, dolcissimi.
Nuccio aveva sempre pensato che le persone più sfortunate del mondo dovessero essere gli insonni, quei poveri tapini che di notte vegliavano ininterrottamente, quei miserevoli che non riuscivano mai a immergersi nel proprio mondo di sogni: che vita orribile!
Nuccio non compiangeva la sua condizione, non sognava mai una vita "migliore", con un papà e una mamma. Sognava posti lontani, posti felici e, quelli sì, migliori.
- Ehi! Nuccì!! - sussurrò qualcuno dal basso del tronco, toccandogli il piede penzoloni - hei! Psss… Nuccì!!
- Eh … - rispose Nuccio guardando giù, nella penombra della notte, rischiarata da una timida falce di luna.
- Vieni giù! - Nuccio scese e trovò i suoi tre amici: erano tutti orfani e poveri, come lui.
­- Guarda cosa ha trovato Nenè!! - disse una voce eccitata nel gruppo. Un profumo di crosta bruciacchiata solleticò il naso di Nuccio, senza vedere granché.
- Oè! E dove sei andato a trovare 'sta roba?
- I monacelli, per una volta, hanno fatto un po' di carità - ridacchiò qualcuno, forse proprio Nenè, suscitando il riso dei suoi compagni.
­­- Viva i monacelli - rispose Nuccio, allungando la mano nell'oscurità: trovò le mani degli altri, già protese in avanti, e tutti insieme urlarono, pur sempre bisbigliando: - Uno per tutti, tutti per uno! -

Quella sera mangiarono, e fu ancora più dolce sognare quella notte.

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