sabato 12 settembre 2015

LUI (17)

FIORDALISO
Indossavo la mia sciarpa preferita, morbida e calda, attentamente disposta di modo che nessun pezzettino di pelle rimanesse scoperto. Era un mio vizio, una delle mie passioni, quella sciarpa. Mi sentivo al sicuro, protetto non solo dal freddo, ma da qualcos'altro, qualcosa di meno ovvio, qualcosa che non riesco a comprendere interamente. Non c'era il sole, ma solo la sua bella luce diffusa attraverso bianche nuvole uniformi. C'era odore di gelo, quel profumo di freddo avvolgente e penetrante: ogni respiro significava accogliere nel petto un brandello di quell'aria anestetica e spessa; ad ogni respiro il mio petto s'innalzava un pochetto, inebriato dall'atmosfera pulita e semplice di quella giornata d'inverno.
Durante la notte avevo passato alcuni momenti d'insonnia, fermo nel mio lettino a guardare l'oscurità con gli occhi spalancati, senza quasi sbattere le palpebre. Ricordavo la sua pelle delicata e liscia, di fanciullo e aspettavo il giorno che stava arrivando, quando, finalmente, avrei riveduto quel viso cui ero così devoto.
Ora attendevo in silenzio, accoccolato nella mia sciarpa, e aspettavo trepidante di scorgerlo arrivare da dietro l'angolo: attorno a me c'era un ragazzo che raccontava ad un suo amico di cosa era successo tra lui e una certa Cristina; un po' più in là una ragazza messaggiava rapidamente, intenta, penso io, a rispondere a decine e decine di persone che la interpellavano ora per questo motivo ora per quell'altro. Poi il resto del centro città era animato dalla solita fretta infreddolita dell'inverno, tra uomini in completo che se ne ritornano dai loro uffici sfoggiando la loro vita scintillante e tra ragazzini che non sono troppo preoccupati per la scuola. Ma tutto questo era per me solo arredamento, qualcosa che era stato disposto con attenzione da un fine intenditore, ma che non rappresentava altro che suppellettili e basta. Io stavo aspettando, in uno stato di tensione e insofferenza tremendo: in me cresceva il bisogno di lui e man mano che passava il tempo mi sentivo come gonfiato da questa necessità sempre più impellente. Lui s'avvicinava, lo sentivo, e pian piano sentivo che la forza che riusciva ad esercitare su di me cresceva, e s'ingrandiva e diventava sempre più violenta.
Sentivo nell'aria che la sua aura perfetta era quasi tra le mie braccia. Sentivo che finalmente avrei stretto quell'anima d'oro e luminosa: la sua purezza si sarebbe abbassata presto dall'alto dei cieli dal quale proveniva, fino alle mie mani impure, semplici mani di uomo disperato, misero e solo. Mi avrebbe, venendomi di nuovo incontro, salvato, redento dalla mia orribile condizione di inetto e verme: come Beatrice per Dante, mi avrebbe di nuovo portato quella sua luce perfetta ed eccelsa, tutta pervasa di quel profumo così intenso, così straordinariamente meraviglioso, che rimaneva sempre sulla mia pelle ogni volta che mi sfiorava. Lui, candido e puro, sarebbe stata la mia salvezza: ogni volta che lo incontravo comprendevo cosa si intende per "resuscitare dai morti", poiché solo lui era in grado di rigenerarmi fin dalla più intima fibra del mio corpo.
Era un magnete, per me, come una grande calamita superpotente in grado di condizionare ogni mia azione, ogni respiro, ogni volta che ci avvicinavamo.
E guardavo quell'angolo, con il marciapiede che curvava verso la piazza in cui lo attendevo. Un piede  rapido si sarebbe presto mostrato con la solita allegria, seguito, immediatamente, da un corpo giovane e forte, slanciato e perfetto. Chi avrebbe detto che era bello? Nessuno, forse, ma, nonostante ciò, egli era la perfezione più assoluta, e perfino gli angeli nell'alto dei cieli lo avrebbero invidiato. In lui, infatti, c'era qualcosa che non c'entrava con la bellezza che tutti noi  immaginiamo comunemente, ma si nascondeva una forza inspiegabilmente più potente della bellezza, più grandiosa.
Non osavo fare altro, non distoglievo lo sguardo e non osservavo il telefono: l'attesa mi coinvolgeva tutto, mi obbligava a fissare quell'angolo così banale, svoltato già tante e tante volte. Ero in attesa di un miracolo, un miracolo che avrebbe illuminato quella giornata e avrebbe donato una meravigliosa scossa al mio animo come sempre intorpidito.
Ricordo che cercavo di non battere gli occhi per continuare a osservare quel lembo di strada: ero anche in grado di ignorare le macchine che passavano, scartavo il palo un po' storto che vietava la sosta lungo il corso e mi concentravo solo su quello straccio di angolo. Come nella notte di San Lorenzo, scrutavo quel cielo in attesa della mia stella cadente.
Smarrii completamente la facoltà di pensiero, totalmente. Ero uno scemo, rimbecillito dal bisogno di quell'apparizione, completamente intontito nel sognare la perfezione che stavo per riabbracciare.
Sentii una voce da dietro di me e qualcosa di sottilissimo e fresco che sfiorava la mia pelle del collo: mannaggia a me non m'ero avvoltolato bene nella mia sciarpa! Beh, sentii questo brivido e «Cucù!» sorrise una voce alle mie spalle.

Mi voltai e, già con il sorriso, salutai la sua perfezione con un «Ciao!». Era arrivato da un'altra strada.

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